mercoledì, Novembre 29 2023

Ovviamente quando è nato il Pci non c’eravamo. Ma alcuni di noi c’erano quando è morto, e negli ultimi anni della sua vita.
Alcuni di noi lo hanno combattuto, perché era troppo di destra, troppo “riformista”. Altri lo hanno criticato da dentro, altri ancora ci sono stati comodi.
Poi, molti di quelli che lo accusavano di essere troppo riformista sono diventati cavalieri del Cavaliere, ma questa è un’altra storia.

La storia del Partito Comunista Italiano è invece grande, e in tanti ne diranno in questi giorni. Il Pci è stato il più grande (e strano) partito comunista dell’occidente, sia come numero di iscritti sia come numero di voti.
Con tutte le contraddizioni possibili, è stato grazie al Partito Comunista, oggettivamente egemone, che in Italia si è riusciti a costruire una Resistenza capace di sconfiggere il fascismo. E sempre grazie anche al Pci la nostra Costituzione è capace di essere tra le più belle del mondo e di coniugare i diritti sociali con i diritti civili che, entrambi, debbono essere universali.
E sempre grazie al Pci, che egemonizzò il movimento operaio italiano del ‘900 i diritti dei lavoratori furono conquistati.

Infiniti meriti, ha avuto il Partito Comunista Italiano. Che però, e forse questo è il suo più drammatico difetto, non ha saputo contrastare il rovesciamento di campo e di senso che tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900 c’è stato. È sembrato che non si fosse accorto di quanto stava accadendo, quando il liberismo e il capitalismo, con il tactherismo hanno cominciato a reagire – per ora vincitori – alla lotta di classe dal basso verso l’alto con enormi investimenti e molta violenza, praticando una lotta di classe spietata dall’alto verso il basso. Svuotando di significato non solo la convivenza civile ma anche lo Stato. E probabilmente, l’aver buttato fuori dal partito il gruppo de Il Manifesto, ha favorito questa miopia.
E se c’è un rimprovero che va fatto al Partito Comunista Italiano è stato quello di essersi a un certo punto arreso. E in cambio di una cogestione del potere e dello Stato, ha rinunciato a rappresentare le lavoratrici e i lavoratori, lasciando che l’unico elemento che accomuna tutti, anche con elementi di violenza, diventasse l’ideologia dell’impresa. Quell’ideologia che in teoria si presenta come puramente tecnica, di efficienza e non di valori, e che annulla la Storia.

Lo Stato non è più il prodotto della Storia, ma un elemento tecnico ridotto al minimo che deve garantire l’efficienza del mercato. Per questo tutto ciò che è sedimento storico, esperienza storica, viene distrutto e combattuto come qualcosa che ostacola questa razionalità e questa efficienza. Il “nuovo” che ha travolto la sinistra che cos’è se non questo? L’impresa, che noi sappiamo essere un elemento storico ma che si presenta con la caratteristica di negare di avere storia e di essere cioè neutra. Questo è il veleno attraverso cui può passare un elemento fascistoide. La neutralità, la neutralizzazione, l’antipolitica.

Nonostante i fiumi di inchiostro, si è sempre detto troppo poco della egemonia comunista nella Resistenza come movimento non soltanto militare, ma come movimento che ha contribuito a costruire l’Italia dopo. La Resistenza non è stata determinante in assoluto dal punto di vista militare. Ma senza la Resistenza, e senza l’egemonia comunista nella Resistenza, non avremmo avuto questa costituzione, questo Stato, che nonostante tutto, a differenza della Grecia, è restato, fino a un certo punto, ancorato alla democrazia.
Poi, c’è stata, incontrastata e forse incontrastabile in questi anni, la progressiva omologazione tra cultura alta e cultura bassa, perché il problema non è la gestione dello stato esistente, ma della critica dello stato di cose esistenti. E quello che possiamo rimproverare al PCI è il non essere riuscito a collegare la tradizione del movimento operaio alla nuova tradizione nata dalla critica della modernità degli anni ’70.

E allora invece di celebrare il Pci con la retorica, proviamo a cantarlo perché è vivo, come Camilo cantato da Puebla, e non perché è morto. E a dire che la sinistra deve tornare ad essere egemonica, usare le contraddizioni dell’avversario. Se invece scimmiotta l’avversario o regredisce al settarismo e alla pretesa di sufficienza, come ha fatto, la sconfitta è inevitabile. E di più, ha favorito l’elemento irrazionale, che ha partorito il novaxismo dei 5 Stelle con cui adesso anche la sinistra è comunque costretta a governare,

Questa è la punta dell’iceberg – oggi con il virus è più chiaro – di una crisi grave, drammatica, che si accentuerà nei prossimi anni. Economica, sociale, culturale. La sinistra dovrà essere all’altezza di questi problemi diventando insieme più aperta, più democratica, più capace di comunicare, e più radicale nell’essere dalla parte degli ultimi. Le due cose lungi dall’essere in contraddizione, sono condizione l’una dell’altra.
Quindi, piuttosto che celebrare un morto, cantiamo un vivo.

Perché gli ideali e le idee, e soprattutto la necessità di cambiare lo stato di cose presenti, che hanno fatto del Pci il più stravagante e forte partito comunista dell’occidente non sono morte con lui, ma vivono nei sorrisi e nelle incazzature di ciascuno di noi. Nel poco di equilibrio di rapporto tra uomo e natura rimasto. Nella necessità, come dice la Costituzione, che gli interessi e i diritti delle persone valgono persino più di una cosa – più sacra di Gesù – come la proprietà privata.
Per dirla con Edith Piaf: Non, je ne regriette rien, né il bene né il male.

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