martedì, Giugno 6 2023

di Marcello Guerra e Maso Notarianni

L’Europa che la nostra generazione sta conoscendo non è quella che aveva in mente Altiero Spinelli, padre dell’europeismo italiano, e neppure quella del “vento caldo” che si era originato dallo spirito solidaristico tra i popoli, a seguito del grande conflitto mondiale e che si è tradotto nelle politiche di welfare e di sostegno all’interno di un patto sociale che ora è disatteso.

Ciò che abbiamo di fronte è il prodotto di una rabbia classista diretta dall’alto verso il basso, verso i soggetti più deboli e intesa a soffocare sempre di più i popoli con le ganasce del debito.

Questa è l’Europa che impariamo a conoscere in questi anni, guidata da una “troika” non eletta ma in grado di approntare quel meccanismo infernale capace di drenare risorse dal basso degli strati sociali all’alto degli apparati economici, e dalla periferia verso il suo centro economico. Un vortice incontrollato che come scopo si pone l’azzeramento dei diritti individuali, e come mezzo le politiche dell’austerity, mentre la crisi economica è condizione essenziale per la riproduzione incondizionata delle crisi sociali e dell’individualismo come valore assoluto.

La prospettiva di quest’Europa si snoda lungo il crinale di una crisi perpetua, un gorgo che inghiotte i nostri diritti costituzionali, sacrificati alle politiche del rigore economico senza neppure contemplare un’ipotesi di rilancio sociale e di riscatto dove il ruolo dei popoli abbia maggiore rilievo della contabilità di bilancio. Questo ci dicono i provvedimenti del fiscal compact” e del two pack: una società ammanettata ai destini di un’istituzione, l’Europa, i cui vertici ormai sono troppo distanti dai bisogni delle persone per poterle comprendere, che non vivono i drammi sociali (solo) anticipati dal popolo greco a cui l’Italia sta per accodarsi, in altre forme, ma con gli stessi risultati in termini di cessione di diritti e di dignità delle persone.

Questo però non può essere il nostro destino. Non possiamo cedere i nostri diritti vincolandoli alle politiche di gestione del debito, dove più debito corrisponde a meno diritti esigibili. E una risposta utile, qualunque essa sia, non deve chiudersi in un percorso nazionale, per quanto sia buona cosa e utile cominciare dal proprio cortile. Ma una risposta alle politiche dell’austerity e il rifiuto netto di vedersi il futuro compromesso e immerso in una società dei privilegi senza diritti, una risposta a una società in mano a coloro che han fatto la propria fortuna sul dramma di interi popoli deve partire dalla nostra indignazione, ultimo sentimento che rappresenta una extrema ratio attraverso la quale poter costruire un elemento di riscatto, di rinascita.

Una ripartenza, un rilancio e un rovesciamento delle prospettive deve riguardarci, e deve farlo a partire da queste prossime elezioni europee. È necessario e utile che cominciando dal nostro cortile, dalla nostra Italia, si lavori per la costruzione di una lista di cittadinanza che abbia un respiro europeo, svincolata dalle dinamiche nazionali e caratterizzata da un programma per un’altra Europa e contro le politiche dell’austerità. È necessario, ora più che mai, che si presenti sullo scenario politico, una lista di cittadinanza europea, un gruppo di persone capaci e preparate soprattutto politicamente, che sappia cogliere la gravità del momento riconoscendo l’urgenza che i tempi dettano. Quel gruppo di persone che, se elette, saranno in grado di tessere, assieme agli altri gruppi delle altre nazioni rappresentati, quel programma che sia contemporaneamente una risposta ai problemi della crisi e una limitazione alle politiche di austerità, sapendo che se si esce da questa crisi, se ne esce tutti assieme, con un altro progetto di Europa.

C’è anche una figura simbolica che lega la sua giovane storia alle lotte contro i poteri economici e i dettami della troika europea. Il suo nome è Alexis Tsipras e sarà presto, come molti di noi sperano, il candidato presidente di una nuova e diversa comunità Europea, con un programma di politiche economiche e sociali in totale antitesi a quanto abbiamo sin ora sperimentato. Un vento nuovo e caldo potrebbe nuovamente soffiare sulla vecchia Europa. Non è un desiderio messianico di un futuro gioioso ma inarrivabile. È un’esigenza di cambiamento, fuori dal quale rimangono solo le catene dell’asservimento, e un vento freddo che gela e cristallizza il futuro di queste terre.

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