martedì, Giugno 6 2023

Sono a Milano, ragionerò quindi di Milano, che però è città grande ricca e importante. Spesso luogo di esperimenti. E quindi saranno inevitabili continui riferimenti alla situazione nazionale a cui siamo legati. E che a sua volta ci tiene legati.

A Milano negli ultimi due anni sono stati fatti alcuni miracoli, il primo dei quali è stato arrivare al 6,5 percento alle europee con una lista che metteva insieme la sinistra tutta. Poi le tante mobilitazioni unitarie e unite in piazza, come quella che appena un anno fa (era il 12 dicembre)  vedeva sfilare sotto uno striscione dal titolo “Milano a sinistra” migliaia di persone, di Sel, di Rifondazione, di Possibile, della sinistra del Pd e soprattutto persone normali, democratici, “banali” elettori che si riconoscevano (come dubitarne?) in quello striscione.

Ma l’ultimo miracolo è stato il più incredibile di tutti: si è riusciti, come Penelope, a disfare tutta la tela che faticosamente e grazie al lavoro di tante persone eravamo, tutti insieme, riusciti a costruire.

Da quando la discussione si è rinchiusa nei tavolini della sinistra milanese e nazionale, qualcuno ci ha pure provato in tutti i modi a dire che è un errore chiudersi in un dibattito tutto italiano, tutto di posizionamento, tutto politicista.

Tutto fra pochi, soprattutto. E non mi riferisco solo ai dirigenti locali dei partiti. Fra pochi significa anche quando questo dibattito si è esteso nei circoli, nelle sezioni, nei comitati. Poche persone, spesso le stesse che un momento avevano il cappello di una associazione e il momento dopo quello del partito di riferimento.

Nessun coinvolgimento reale dei territori, nessun coinvolgimento sociale, nessuna battaglia portata avanti. E i temi non mancherebbero. Lavoro, pace, diritti, scuola. E non sono sempre i soliti stessi temi. In ognuno di essi nell’ultimo anno il governo ha fatto fare al Paese passi indietro che fino a poco tempo fa sarebbero parsi impensabili.

È un errore che comunque pagheremo il lasciare che il sociale maceri nella frammentazione e nella inadeguatezza. Come se questo non debba essere componente prioritaria del dibattito fra chi vuole fare la sinistra a Milano e in Italia.

Poi, in queste ultime settimane, siamo alla follia. L’Europa, il Mediterraneo e il mondo sono in guerra. Una guerra brutta, complicata, che abbiamo in casa nostra oltre che in molte case d’altri. E dovremmo essere all’altezza di una analisi e di una proposta forte – ma questo non smuove una paglia nel dibattito sulla sinistra né a Milano né nel Paese. Ogni giorno nel nostro mare muoiono decine di persone nell’indifferenza.

Ma le travi smottano quando parla Civati, quando dichiara Fratoianni, quando comunica Ferrero, quando Fassina apre bocca. O quando Sala dice che è di sinistra mentre costruisce ponti con Cl. O quando Majorino dice che va avanti. O quando Pisapia lancia una nuova candidatura, o quando i Comitati per Milano prendono una posizione.

Non quando Hollande – solo per fare un esempio tra mille – sospende la legislazione sui diritti umani per combattere i terroristi. Non quando i dati del primo anno di Jobs Act ci dicono che disastro è stato. Non quando il governo Renzi ricomincia con l’uso spudorato di leggi ad personam. O quando sommerge di danaro pubblico la scuola privata e lascia aperto appena un rivolo verso l’università o la ricerca o la scuola statale.

Ma che sinistra volete che esca da un dibattito così?

Abbiamo forse parlato alla gente di questa guerra? Di come fare uscire questa guerra dalla nostra vita, dalla nostra città? Abbiamo parlato di diritti dei lavoratori? Abbiamo parlato più banalmente di cosa fare per rendere vivibile l’aria e la vita nella nostra città?

Ma cosa volete che interessi fuori di qui, fuori dalle stanze, quel di cui si sta ragionando da mesi?

Abbiamo parlato della folle disparità che c’è tra un ricco e un povero, anche e soprattutto nella nostra città? Abbiamo ragionato e costruito proposte su come fare in modo che a chi ha meno venga dato di più, in servizi, in assistenza, in salute, anche in lavoro, mentre venga finalmente tolto un po’ del troppo di chi ha troppo?

Sono i drammi del mondo in cui viviamo, l’insopportabilità della ingiustizia, la rivolta contro l’orrore quotidiano, l’idea che non c’è tempo, che se non vinciamo noi vince il male le sole cose che possono spingere alla unità, a mettersi alle spalle tutto, a fare il proprio dovere tutti insieme, a non vergognarsi di implorare i riottosi a mettersi a disposizione, a dimenticare le sigle proprie e quelle degli altri, e fare fronte con i buoni ovunque siano.  A prendere come fatto positivo tutto quello che tende all’unità, fregandosene del piccolo cabotaggio per l’egemonia, fregandosene delle contraddizioni che ciascuno si porta dentro, finendola di fare l’analisi del sangue a qualsiasi dichiarazione che leggono se va bene mille persone in tutta Italia, un centinaio delle quali stanno a Milano. Non certo le alchimie di documenti inutili e illeggibili possono migliorare lo stato di cose presenti. A meno che non si tratti di voler migliorare lo stato di cose presenti di chi su quei documenti discute.

Ma secondo voi, posto che in Italia una infinitesima parte della popolazione legge i giornali e una piccolissima parte della popolazione si informa attraverso i telegiornali, a qualcuno interessa qualcosa del teatrino milanese o italiano della politica fatta nelle stanze o nelle vetero-assemblee?   Qualcuno ci capisce qualcosa?

Qualcuno si appassiona alle discussioni sulle alleanze, sulle primarie, sui candidati?
Vi prego, uscite, usciamo tutti insieme dai nostri piccoli mondi che con la realtà hanno davvero poco a che fare… Usciamo dai circoli, dalle sezioni, dai comitati, dalle sale riunioni, dalle pagine facebook, da quelle de La Repubblica o de il Manifesto.

Qualcuno rompa anche gli specchi sui quali si rimira, evidentemente soddisfatto, al mattino.

So bene che non sono nessuno, ma neanche “i politici” sono nessuno – tutti siamo nessuno di fronte alla magnitudine del terremoto del mondo in cui la nostra società frana insieme alle altre. Non riconosco a nessuno un diritto maggiore di quello che ho io, e moltissimi altri ed altre che vengono da altri percorsi e fanno politica in un altro modo, di impostare e determinare questa storia.

Quando qualcuno deciderà di battersi affinché i migranti con la bocca cucita ad Idomeni, i tunisini che difendono la democrazia e chiedono una piattaforma globale di lotta al terrorismo, i libanesi che saltano in aria, i francesi dove tutta la sinistra in parlamento vota per la guerra e lo stato di emergenza (a parte due socialisti e due verdi), siano al centro dei tavolini unitari a sinistra?

Quando decideremo di portare la discussione sui temi del lavoro, del recupero della marginalità, dell’integrazione, della redistribuzione della ricchezza, di come costruire sicurezza vera, non con la polizia o l’esercito ma con investimenti per la socialità e la crescita nei quartieri popolari, di come far respirare una città che nonostante i passi fatti è ancora troppo spesso oltre la soglia di inquinamento, di come sottrarre ricchezza a chi ne ha troppo accumulata (e spesso gode ancora di benefici da parte dell’amministrazione) facendo in modo che le scuole, gli asili nido, le civiche, i teatri, le università tornino ad essere di standard elevati, accessibili e mezzi di crescita per il cosiddetto ascensore sociale che a Milano come altrove nel Paese è drammaticamente fermo?

Insomma quando cominceremo a discutere davvero del come far vivere concretamente bene questo Paese e queste città a tutti, e non solo a quelli che si possono permettere una  Milano solo da bere o da pippare, quando di questo e solo di questo, lasciando perdere le discussioni teoriche sulle alleanze, sui candidati, su Fraccazzo da Velletri, allora fatemi fateci un fischio. Noi ci saremo.

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2 comments

  1. Capisco e approvo l’esigenza espressa nell’articolo ma non metterei sullo stesso piano chi ha sabotato l’accordo di NOI CI SIAMO, LANCIAMO LA SFIDA e chi invece ne è rimasto fedele.

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