martedì, Ottobre 3 2023

Ieri era la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In genere le giornate mondiali sulla qualsiasi mi lasciano non solo indifferente, ma anche infastidito, per via della ipocrisia di chi le ha pensate, proclamate e di chi le celebra. Diversa la giornata contro la valenza di genere, contro la quale – per fortuna – è partita una grande mobilitazione di donne (e non solo) che ha acceso i riflettori su uno dei disastri dell’umanità.

Ero invitato a una assemblea sull’antifascismo a Milano, città che da qualche tempo, complici le istituzioni, sta subendo una pericolosa recrudescenza di attività di gruppi nazifascisti, denunciata pesino dal quotidiano Haaretz.
Mi è sembrato normale ringraziare Teresa Galli che aveva 19 anni e cadde il 15 aprile del 1919 a Milano, prima vittima dei fasci di combattimento.
Dopo di lei, sono state 35.000 le “partigiane combattenti”, tra le quali la mia mamma,  20.000 le patriote, con funzioni di supporto, 70.000 le donne appartenenti ai Gruppi di Difesa, per la conquista dei diritti delle donne, 16 medaglie d’oro e 17 medaglie d’argento, 512 le commissarie di guerra, 4.633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 1890 le deportate in Germania.

”Le donne debbono tenere in ordine la casa, vegliare sui figli e portare le corna”. diceva Mussolini. Le donne fasciste erano fattrici, donne da relegare nelle funzioni domestiche, donne importanti perché procreatrici o al se proprio diventava necessario, operaie.
Donne comunque oggetto, come sono oggetto oggi.
Ho ricordato Franca Rame, vittima del fascismo e della sua concezione della donna, oggetto di stupro e violenza quando non è bambolotto.

Viviamo oggi in un paese molto simile a quello che avrebbero voluto i teorici del fascismo: costruito sull’azzeramento di ogni conflitto (compreso quello di interessi non solo di Berlusconi) e sulla relazione tra corporazioni, e soprattutto tra rappresentanti delle corporazioni e il governo del Paese, una relazione che esclude dall’esercizio del potere i lavoratori salariati, i lavoratori dipendenti, i lavoratori alienati per rispolverare una vecchia parola che comprende non solo il lavoro salariato ma, oggi, anche quasi tutto il mondo del lavoro precario.
Una relazione costruita attraverso la concessione di privilegi e prebende, e non dalla garanzia di diritti per tutti.
Un Paese in cui lo Stato tutela – in campo economico e sociale una minoranza, una élite. E oggi al governo interessano di più quei circa duemila italiani che detengono ricchezze per 180 miliardi oppure l’interesse generale? Non nelle parole o nei proclami o nelle asserzioni da salotto televisivo ma nella realtà concreta e lampante degli atti depositati e pubblicati in gazzetta a dispetto della Costituzione che prevede la prevalenza dell’interesse pubblico e del benessere collettivo sulla proprietà privata.

Un governo che vede nella Guerra una soluzioni possibile, praticabile e volentieri praticata a dispetto della Costituzione, certo non è più la guerra della propaganda fascista, ma è diventata umanitaria, è diventata missione di pace. Ma uccide allo stesso modo persone innocenti. Anzi di “innocenti”, cioè civili, ne uccide pure di più. Un governo che crede di mostrarsi più bello se invece di far vedere quanto costruisce solidarietà e fratellanza (nel suo e negli altri paesi) manda in giro una porterei, l’espressione massima della tecnologia di morte, addobbata come vetrina del made in Italy. Con una tale sfacciataggine che sembra si sia tornati ai tempi in cui si esaltavano le morti gloriose e la guerra purificatrice.

Un paese che ha fermato ogni ascensore sociale, trasformando l’Italia in una specie di stato costruito sui testi sacri del Rig Veda (testi sacri induisti scritti presumibilmente nel 1500 a.c. che prevedevano la suddivisione in caste della popolazione) piuttosto che su quelli non dico usciti dalla rivoluzione d’ottobre ma almeno quelli della rivoluzione francese.
Difendere la Costituzione, il cui articolo più bello, il terzo è stato scritto da una donna, è oggi l’espressione migliore dell’antifascismo.

Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi”. (Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno).
Per questo si deve essere antifascisti sempre.

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